Influenze genetiche su schizofrenia e volume sottocorticale

 

 

GUIOVANNA REZZONI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 20 febbraio 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

L’evoluzione del concetto di schizofrenia nell’ultimo mezzo secolo ha indotto e seguito una trasformazione nella concezione e nella diagnosi, in psichiatria, che non ha uguali in altre branche della medicina. Da psicosi che, nelle sue forme simplex, catatonica, ebefrenica e paranoide, era considerata l’espressione più grave di malattia mentale, a quadro psicopatologico delirante e allucinatorio che negli USA copre quasi tutto lo spettro delle psicosi, fatta eccezione per i disturbi bipolari e monopolari, e in Giappone non ha più un equivalente essendo stata abolita in clinica la definizione giustamente impropria nel senso originario di “schizofrenia”.

Una tale rivoluzione ha fatto seguito soprattutto ai recenti progressi della ricerca neuroscientifica, alle nuove metodologie di approccio allo studio di ciò che accade nel cervello e, più in generale, nell’organismo dei pazienti, fornendo agli psichiatri elementi e nozioni sufficienti a cambiare la visione clinica tradizionale, ma non ha ancora conseguito gli effetti positivi che era lecito attendersi. In particolare, si è avuto un progressivo allontanamento dalla persona del paziente ed una tendenza a tornare ad una visione neurologistica del disturbo mentale con una propensione da parte degli psichiatri di molti paesi a concepire il rapporto con questi pazienti come una relazione clinica esclusivamente centrata sulla mediazione farmacoterapeutica. Ritenendo in passato di poter fare ricerca sull’eziopatogenesi delle psicosi attraverso l’osservazione e il rapporto frequente e protratto col paziente, si conoscevano i suoi vissuti e si cercava di entrare nella sua psicologia intercritica; ovvero, per quanto possibile, al di fuori di fasi acute e crisi di delirio, si tendeva a stabilire una relazione e ad accompagnare l’evoluzione di una possibile elaborazione migliorativa delle trame deliranti, del rapporto col proprio corpo e con il mondo. Anche se oggi ricevono l’etichetta di “schizofrenico” molte persone che in passato non sarebbero mai state diagnosticate di schizofrenia, sia perché è cresciuta la percentuale di errori a causa di una superficiale e formalistica applicazione dei criteri diagnostici del DSM sia per un effettivo ampliamento della categoria clinica, tutti i casi nei quali vi è un reale e profondo sconvolgimento delle funzioni psichiche, solo moderato e celato dall’effetto dei farmaci, richiederebbero una maggiore vicinanza professionale ed umana.

La nostra comprensione della fisiopatologia della schizofrenia è notevolmente progredita nell’ultimo decennio grazie all’uso combinato di tecniche di imaging in vivo con studi genetici e analisi del cervello post-mortem, dal livello neurochimico biomolecolare a quello della morfologia di regioni e sistemi. L’insieme dei dati emergenti conferma che la malattia è altamente ereditabile ed implica l’interazione di numerosi geni di limitato effetto, con la conseguenza di interessare vari domini delle funzioni mentali. L’interesse per i sistemi dopaminergici, che aveva dominato la ricerca per oltre 40 anni solo perché si disponeva di farmaci agenti sui recettori della dopamina in grado di sopprimere alcune gravi manifestazioni cliniche, si è andato riducendo, mentre sono cresciuti gli studi sui sistemi di neuroni eccitatori che impiegano il glutammato, fornendo i primi farmaci con questo target, e su quelli inibitori GABAergici, oltre che su tutti gli altri principali sistemi dell’encefalo, inclusi quelli colinergici.

Ora, è stata condotta un’analisi di amplissima scala, che ha visto la partecipazione di ricercatori e clinici facenti capo a 350 diversi istituti scientifici, con l’impiego del maggiore set disponibile di dati su varianti genetiche e volumetrie di strutture cerebrali, per la realizzazione di uno studio, come si suol dire, proof of concept, per verificare l’influenza genetica sulla schizofrenia e sui volumi di varie regioni cerebrali, in prevalenza sottocorticali (Franke B., et al. Genetic influences on schizophrenia and subcortical brain volumes: large-scale proof of concept. Nature Neuroscience – Epub ahead of print doi: 10.1038/nn.4228, 2016).

Dei 350 istituti di provenienza degli autori si indicano solo i primi elencati: Department of Psychiatry, and Department of Human Genetics, Radboud University Medical Center, Nijmegen (Paesi Bassi); Donders Institute for Brain, Cognition and Behavior, Radboud University Medical Center, Nijmegen (Paesi Bassi); Imaging Genetics Center, Keck School of Medicine of the University of Southern California, Marina del Rey, California (USA); Neurogenetics Program, Department of Neurology, UCLA School of Medicine, Los Angeles, California (USA); Analytic and Translational Genetic Unit, Massachusetts General Hospital, Boston, Massachusetts (USA).

Una messe notevole di differenze genetiche fra persone affette da disturbi psicotici e persone in buona salute psichica è stata raccolta dai ricercatori negli anni recenti, così come le nuove tecniche di neuroimaging hanno consentito di documentare numerose e talvolta notevoli differenze morfo-funzionali fra il cervello di persone affette da schizofrenia e quello di volontari non affetti da disturbi mentali. La grande difficoltà affrontata dai ricercatori consiste nel definire la significatività dei reperti e decodificare eventuali nessi di causalità. In quanto associazioni genetiche comuni stanno emergendo per la schizofrenia e i fenotipi cerebrali, Patrick F. Sullivan con Barbara Francke e i numerosissimi colleghi che hanno partecipato allo studio qui recensito, hanno provato a verificare se l’impiego di dati riguardanti studi dell’intero genoma e della più estesa raccolta di immagini cerebrali possibile, consenta di trovare coincidenze e corrispondenze indicatrici di un rapporto fra genotipo, fenotipo e quadro clinico.

A questo scopo sono stati integrati i risultati provenienti dai classici studi di common variant della schizofrenia, per un totale di 33636 casi clinici contro 43008 volontari sani, ed i dati di misura volumetrici di strutture cerebrali, in prevalenza sottocorticali, provenienti da 11840 soggetti.

In estrema sintesi concettuale, tralasciando gli aspetti tecnici per i quali si rimanda al testo dell’articolo originale, si può dire che non sono state trovate evidenze di coincidenza fra il rischio di schizofrenia e le misure volumetriche delle regioni sottocorticali esaminate, sia al livello di architettura genetica di common variant sia per singoli marker genetici.

Secondo gli autori, tali dati forniscono una prova concettuale e definiscono una roadmap per gli studi che in futuro indagheranno la covarianza genetica fra rischio di disturbi psichiatrici e fenotipi strutturali e funzionali dell’encefalo.

Se ci è consentita una critica costruttiva a questo studio, possiamo osservare che a fronte della straordinaria banca dati e dell’enorme dispiegamento di forze, in termini di numero di ricercatori e clinici partecipanti, è stato compiuto un lavoro relativamente modesto in sede di elaborazione dei criteri di analisi, non isolando ed analizzando specificamente le influenze genetiche su reti di aree, connessioni e sistemi particolarmente significativi per l’agire psichico secondo gli studi più recenti.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanna Rezzoni

BM&L-20 febbraio 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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